Gabriele D'Annunzio D'ANNUNZIO FOTO HOME PAGE CONTINUA

 Il Vittoriale        pagina 2

Aveva un desiderio piuttosto originale: voleva che fosse esposto, una volta tagliato, il suo orecchio sinistro, che considerava la parte più perfetta del suo corpo. Ma il desiderio restò tale, e la sua salma integra. Gli anni del Vittoriale sono quelli della vecchiaia. Vi arrivò a 58 anni e vi morì a 75. Una vecchiaia che non fu generosa: finì per non denudarsi più davanti alle sue amanti, alle quali si presentava vestito di un camicione da notte con un’unica apertura al posto giusto, ma l'apertura era contornata da un anellone d'oro a 18 carati, dal quale offriva il suo "attrezzo". Si vergognava del suo corpo ormai devastato e dei soi denti malandati. Ma la necessità di incontri femminili lo accompagnò fino all’ultimo, sofferente com’era di una malattia scomoda ma maledettamente invidiata: il priapismo. Di statuette falliche è disseminata la sua camera da letto ( la cosiddetta Stanza della Leda ). Di donne, grazie anche alla sua fama, fu circondato fino all’ultimo, anche se non si sa di quante lunghezze seguì il record assoluto appartenuto a un altro scrittore insaziabile, Georges Simenon, che ne collezionò circa diecimila. Erano, quegli incontri, momenti di furore creativo. Una giovane prostituta, certo tutt’altro che colta, nell’atto di darglisi un giorno sussurrò:" Mettimicimelo ". D’Annunzio, forgiatore di parole, sobbalzò folgorato dalla poeticità primitiva di quel ritmo inconsapevole. Luisa Baccara, la pianista che fu sua discreta compagna fin dagli anni di Venezia e di Fiume, e che al Vittoriale visse sempre in punta di piedi, ebbe la suprema dote della pazienza. Al Vittoriale, ma relegata in una dépendance, Villa Mirabella, visse anche la moglie di D’Annunzio, la duchessa Maria di Gallese. Ma si tratta di presenze che fanno soltanto da sfondo al suo carattere protagonista. In questa casa piena di oggetti e di simboli, D’Annunzio è solo, celebra se stesso, soltanto se stesso. Capitava che avesse ospiti a pranzo ma che fosse la Baccara a mangiare con loro, nella sala della Cheli ( la sala da pranzo dedicata alla sua tartaruga morta di indigestione). Lui preferiva consumare del cibo frugale, un tè, dei biscotti, sullo scrittoietto della Zambracca, la stanzetta accanto alla camera letto, un po’ spogliatoio, un po’ luogo di lavoro e meditazione. Nella parete dietro la scrivania,

 

 

 

uno stipo dove teneva le medicine: meglio, la cocaina che gli procurava, pare, anche una cameriera altoatesina poi sparita nel nulla. Si disse che era una spia dei nazisti e che aveva il preciso compito di intontirlo. L’ipotesi non è inverosimile, visto che l’alleanza tra Mussolini e Hitler non gli era mai andata giù. A dire il vero non gli era mai andato giù nemmeno Mussolini, che considerava volgare e troppo lontano dal proprio stile lo stesso dittatore, probabilmente, lo fece controllare dalle pattuglie armate che, ufficialmente, sovrintendevano alla sicurezza del Vittoriale. Più nazionalista che fascista, convinto di essere uno de gli autentici padri della Patria, il Vate poteva essere un temibile concorrente per il Duce. Ernest Hemingway, nel 1923, scrisse che Mussolini era un bluff, il più grande bluff d’Europa, e che D’Annnunzio era l’unica vera alternativa possibile: “Un Rodomonte vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamente sincero e divinamente coraggioso”. Più che coraggioso, D’Annunzio si sentiva un vero eroe. Dal volo su Vienna all’avventura di Fiume, alla beffa di Buccari. Era un grande regista e un eccezionale promotore di se stesso: come dire, un sublime fanfarone. Il Vittoriale è la Celebrazione anche di quest’epopea bellica e patriottica che fu tanta parte della sua vita: nel parco e nella casa, tra gli ulivi o vicino a calchi greci, ogni tanto spunta una mitragliatrice, un moschetto, un’elica, uno stemma della Grande Guerra. Persino una vera nave incastrata nella roccia e fusa col paesaggio. L’auto celebrazione, l’inno a se stesso “diventano” la casa, il giardino, le corti. Le cose sono una continua, incessante, ossessionante ricerca di memoria. Chi li ha contati giura che nelle stanze del Vittoriale ci siano diecimila oggetti (novecento dei quali nel bagno), ma l’impressione è che siano infinitamente di più: sono 500 solo i cuscini. Bene, ciascuno è carico di un significato, o gravato di un simbolo, o contiene un motto, o ricorda un avvenimento. Tutto è elevato a racconto, a testimonianza. in un lugubre e solitario viaggio immaginario, lento, faticoso. Al Vittoriale, che solo all’apparenza può sembrare un variopinto mercato delle pulci, Gabriele D’Annunzio dedicò gran parte della sua ispirazione senile; lo sviluppo e l’arricchimento della casa lo impegnarono talmente che le sue più grandi opere letterarie non nacquero qui. La sua arte divenne un’altra, e la spiega lui stesso: "Non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre pei me un modo di rivelazione spirituale, come uno dei miei poemi...".

 

 

D'Annunzio sul Garda

 

 

 

 

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